Pino Miglino

Il lavoro in via di estinzione

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Descrizione

Ridurre l’orario per salvarsi da automazione e intelligenza artificiale

Contiene interviste a Pierre Carniti, Piergiovanni Alleva, Domenico De Masi, Agostino Megale, Susanna Camusso

‘Lavorare meno lavorare tutti’ è stato uno slogan degli anni Settanta per combattere la disoccupazione. Alla fine del secolo scorso una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è stata applicata in Francia mentre in Italia la sua mancata applicazione è stata causa della caduta del Governo. Ora, dopo anni di oblio, il tema è tornato di attualità con l’avvento dell’intelligenza artificiale che rischia di aprire una nuova era economica composta sempre più da macchine e sempre meno da lavoratori. Inoltre, con la pandemia abbiamo assistito al fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro in tutti i Paesi occidentali, quale necessità di tanti di voler staccare la spina da ritmi e condizioni di lavoro inadatte ai tempi di vita. Il libro, in forma di cronaca, affronta il viaggio in un mondo del lavoro in profonda e continua trasformazione. La disoccupazione come malattia strutturale, il ruolo dei sindacati e della politica, gli esperimenti in corso nei principali paesi occidentali, il cambiamento imposto dalle crisi globali e dalla pandemia. Infine, la necessità di una rivoluzione culturale che, finalmente, porti a lavorare per vivere e non a vivere per lavorare.

“L’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge. Due, dunque, sono le strategie su cui agire. Una più convenzionale e cioè la redistribuzione della ricchezza e l’altra quasi ignorata ma decisiva e cioè la redistribuzione dell’orario di lavoro”.

Dettagli

Formato

12.5×20.5

Anno

2023

Pagine

144

ISBN

9788896905500

5 recensioni per Il lavoro in via di estinzione

  1. Valutato 5 su 5

    ANSA

    Lo slogan in voga negli anni ’70 ‘lavorare meno lavorare tutti’, è tornato di moda: sembra essere l’unico modo per salvarsi da automazione e Ia. E’ quanto affronta ‘Il lavoro in via di estinzione’, saggio del giornalista Pino Miglino, in uscita il 29 novembre, che analizza in forma di cronaca la disoccupazione intesa come malattia strutturale, il ruolo dei sindacati e della politica, ma anche gli esperimenti in corso nei principali Paesi occidentali, il cambiamento imposto dalle crisi globali e dalla pandemia, oltre alla necessità di una rivoluzione culturale che porti a lavorare per vivere e non a vivere per lavorare. Il volume si sviluppa anche attraverso interviste a Pierre Carniti, Piergiovanni Alleva, Agostino Megale, Susanna Camusso e l’ultima rilasciata da Domenico De Masi secondo cui “non ridurre l’orario di lavoro non solo comporta rinunciare ad assorbire la disoccupazione presente e quella futura causata dall’automazione ma comporta anche danni collaterali. Insomma se l’imperativo è creare lavoro, allora non si tratta più di lavorare per produrre ma di produrre per lavorare. Si rischia inoltre di adottare un’organizzazione del lavoro adeguata al progresso tecnologico e all’enorme crescita della produttività solo sotto la pressione di sollevazioni violente, così come si è sperimentato in fretta e furia lo smart working solo sotto la frusta del Covid”, la “nuova sfida che segnerà il XXI secolo è come inventare e diffondere una nuova organizzazione capace di elevare la qualità della vita riducendo il lavoro e facendo leva sulla forza silenziosa della felicità”. “L’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge. Due, dunque, sono le strategie su cui agire. Una più convenzionale e cioè la redistribuzione della ricchezza e l’altra quasi ignorata ma decisiva e cioè la redistribuzione dell’orario di lavoro” spiega l’autore.

  2. Valutato 5 su 5

    Antonio Lovascio per www.ilmantellodellagiustizia.it

    “Gli algoritmi vanno guidati!”. Più volte Papa Francesco affrontando di petto il tema e parlando delle opportunità che offre l’Intelligenza artificiale, ha messo in guardia anche sui rischi che questa rivoluzione del Terzo Millennio presenta per il futuro dell’uomo. Nell’ultimo numero de “Il Mantello della Giustizia” li ha analizzati con la consueta lucidità don Gianni Cioli. Qui vorrei riprendere e riflettere su quanto ha scritto a proposito degli effetti devastanti che avrà sulla perdita dei posti di lavoro, perché – se non verranno prese le necessarie contromisure – potrebbe portare a una disoccupazione di massa e al moltiplicarsi delle disuguaglianze. Solo in Italia, secondo una stima di Confartigianato, nei prossimi anni c’è il pericolo di veder tagliati non meno di 8 milioni di posti di lavoro. Sarebbe un dramma, dopo che, con la pandemia, abbiamo assistito al fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro in tutti i Paesi occidentali, quale necessità di tanti di voler staccare la spina da ritmi e condizioni inadatte ai tempi di vita, oppure per esigenze famigliari. Ecco perché di fronte ad una disoccupazione ormai strutturale soprattutto di giovani (sarebbero circa centomila i “cervelli” in fuga all’estero), di settimane sempre più corte in fabbrica (in alcune grandi e medie industrie da cinque giorni si è già passati a quattro giorni), di contratti non rinnovati, di salari bassi, diritti approssimativi e scarsa protezione sociale, è ritornato di moda uno slogan (“Lavorare meno, lavorare tutti”) proclamato negli Anni Settanta nei cortei e nelle trattative sindacali. Trasferito nel nostro tempo, sarebbe una soluzione non facile da realizzare per la competitività delle imprese già danneggiate dall’emergenza Covid e dai pesantissimi riflessi delle guerre in corso.

    Non trascurando che già alla fine del secolo scorso una riduzione dell’orario a parità di salario è stata applicata in Francia, mentre in Italia la sua mancata attuazione è stata causa della caduta del Governo Prodi ad opera di Bertinotti e Rifondazione, un interessante viaggio nel complesso mondo dell’occupazione in profonda trasformazione lo compie Pino Miglino (già caporedattore de “La Nazione”) nel saggio “Lavoro in via di estinzione” (Primamedia editore: 144 pag.; 15 euro). Pieno di dati statistici, di analisi a più voci sulla disoccupazione come malattia strutturale, sul ruolo dei sindacati e della politica, sugli esperimenti in corso nei principali Paesi industrializzati. Ben integrato da interviste-testamento raccolte da personaggi purtroppo scomparsi che il problema l’hanno vissuto e studiato a fondo, come Pierre Carniti ( pioniere di questa battaglia lanciata negli anni ’80), storico leader della Cisl, per carisma e originalità di pensiero propulsore del movimento sindacale italiano, un cattolico cremonese influenzato dagli insegnamenti di don Primo Mazzolari. O come il sociologo Domenico De Masi- scomparso nell’estate scorsa – che ci ha lasciato studi sul lavoro del presente ed anche sulle professioni del futuro. E in aggiunta le risposte di Piergiovanni Alleva, Agostino Megale e Susanna Camusso alle domande sempre più attuali e stringenti con l’imporsi dell’intelligenza artificiale.

    Messa insieme tutta questa interessante documentazione, Pino Miglino conclude il suo saggio con una emblematica raffigurazione: “L’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge”. Ma l’autore alla fine non può non ricordare che “il sistema di far lavorare tutti, all’apparenza razionale, in una certa misura è già stato sperimentato sul pianeta Terra. Si chiamava comunismo. Ma si è rivelato un disastro. Non solo per aver tolto la libertà che agli Umani è assai cara. Insomma, come sintetizzava efficacemente il sociologo Domenico De Masi, “il comunismo ha dimostrato di saper distribuire la ricchezza ma di non saperla produrre, il capitalismo ha dimostrato di saper produrre ricchezza ma di non saperla distribuire”.

    Ecco perché ha un senso sottolineare che questo inizio di ventunesimo secolo verrà ricordato per la fine della critica al sistema più diffuso in Occidente – il capitalismo appunto – che invece aveva caratterizzato buona parte del Novecento. Il capitalismo è diventato l’ambiente dentro il quale viviamo e ci muoviamo . E vi siamo talmente immersi da non avere più la capacità culturale di guardarlo per analizzarlo e correggerlo, di rivolgergli le domande fondamentali dell’equità, della giustizia, della verità. Come non dar ragione allora ad un autorevole studioso dei sistemi economici e della Dottrina Sociale come Luigino Bruni, editorialista di “Avvenire” e presidente della Scuola di Economia civile? In questa povertà di pensiero critico, si comprendono il valore e la portata storica delle riflessioni di Papa Francesco sull’economia, magistralmente e organicamente espresse nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e nella Laudato Sì. “ Una bussola per i governanti ed il mondo attuale, condizionato dalla sua molteplice ed opprimente offerta di consumo.

  3. Valutato 5 su 5

    Antonio Lovascio per Toscana Oggi

    La sfida sociale del Novecento è stata quella di assicurare lavoro e reddito. Quella del nostro secolo dovrebbe essere la distribuzione equa del surplus generato dall’integrazione economica e dalle nuove tecnologie, e soprattutto dall’intelligenza artificiale che solo in Italia, secondo una stima di Confartigianato, nei prossimi anni rischia di tagliare non meno di 8 milioni di posti di lavoro. Un dramma, dopo che, con la pandemia, abbiamo assistito al fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro in tutti i Paesi occidentali, quale necessità di tanti di voler staccare la spina da ritmi e condizioni inadatte ai tempi di vita. Ecco perché di fronte a una disoccupazione ormai strutturale soprattutto di giovani (sarebbero circa centomila i «cervelli» in fuga all’estero), di settimane sempre più corte in fabbrica (in alcune da cinque giorni si è già passati a quattro giorni), di contratti non rinnovati, di salari bassi, diritti approssimativi e scarsa protezione sociale, è ritornato di moda uno slogan («Lavorare meno, lavorare tutti») proclamato negli Anni Settanta nei cortei e nelle trattative sindacali, che ora prospetta una soluzione di non facile realizzazione per la competitività delle imprese già danneggiate dall’emergenza Covid e dai pesanti riflessi delle guerre in corso. Non trascurando l’assunto che già alla fine del secolo scorso una riduzione dell’orario a parità di salario è stata applicata in Francia mentre in Italia la sua mancata attuazione è stata causa della caduta del Governo Prodi a opera di Bertinotti e Rifondazione, un interessante viaggio nel complesso mondo dell’occupazione in profonda trasformazione, lo compie Pino Miglino (già caporedattore de «La Nazione») nel saggio Lavoro in via di estinzione (Primamedia editore, 144 pagine, 15 euro). Ricco di dati statistici, di analisi sulla disoccupazione come malattia strutturale, sul ruolo dei sindacati e della politica, sugli esperimenti in corso nei principali Paesi industrializzati. E di interviste-testamento raccolte da personaggi purtroppo scomparsi che il problema l’hanno vissuto e studiato a fondo, come Pierre Carniti (che fu pioniere di questa battaglia lanciata negli anni ’80), storico leader della Cisl, per carisma e originalità di pensiero propulsore del movimento sindacale italiano, un cattolico cremonese influenzato dagli insegnamenti di don Primo Mazzolari. O come il sociologo Domenico De Masi, che ci ha lasciato studi sul lavoro del presente e anche sulle professioni del futuro. E in aggiunta le risposte di Piergiovanni Alleva, Agostino Megale e Susanna Camusso a domande sempre più attuali e stringenti con l’imporsi dell’intelligenza artificiale. Dunque, come scrive Pino Miglino «l’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge». Ma con onestà intellettuale l’autore del saggio alla fine ricorda che «il sistema di far lavorare tutti, all’apparenza razionale, in una certa misura è già stato sperimentato sul pianeta Terra. Si chiamava comunismo. Ma si è rivelato un disastro».

  4. Valutato 5 su 5

    Il Tirreno

    Che fine farà il lavoro? La domanda è per domani, un domani però molto vicino. I robot stanno togliendo gli operai dalla fabbrica. Il digitale manda a casa gli impiegati: migliaia di cassieri sono stati pensionati per colpa delle banche online. E ora l’Intelligenza Artificiale che si prepara a cancellare ingegneri, medici, informatici, avvocati, giornalisti… insomma le professioni che si credeva fossero al riparo dalle macchine. Di questi scenari inquietanti si occupa il saggio “Il lavoro in via di estinzione” del giornalista Pino Miglino, che contiene interviste a Pierre Carniti, Piergiovanni Alleva, Agostino Megale, Domenico De Masi e Susanna Camusso. il progresso tecnologico ha sempre distrutto mestieri e ne ha creati di nuovi: le automobili hanno in pensione le carrozze, i meccanici hanno sostituito i falegnami…
    “Vero – risponde Miglino -, ma ora la tecnologia avanza con tale potenza e tale velocità che le vecchie attività scompaiono improvvisamente e non ne nascono nuove nello stesso numero. Insomma il pericolo è una crescita preoccupante della disoccupazione”.

    Una opione, ma i dati?
    “La Banca Mondiale ha lanciato l’allarme sull’aumento della disoccupazione causata dalla tecnologia: si rischiano sconvolgimenti sociali e politici. La Confartigianato ha stimato in Italia 8 milioni e mezzo di posti a rischio per l’Intelligenza Artificiale”.

    Una apocalisse
    “No, un rimedio c’è. Occorre rispolverare il vecchio slogan Lavorare meno lavorare tutti. Occorrerà spartirsi il lavoro che si ridurrà progressivamente riducendo allo stesso modo l’orario per fare assunzioni…”.

    Facile a dirsi…
    “Da almeno 20 anni si fanno esperimenti in tutto l’occidente industrializzato. Ora finalmente anche in Italia: settimana cortissima di 4 giorni a settimana a parità di busta paga in grandi gruppi come Banca Intesa, Leonardo, Luxottica, Lamborghini. E la gente vive meglio”.

    Cioè?
    “Dopo la pandemia si è manifestato il fenomeno delle grandi dimissioni. Ci si è abituati ad una vita meno frenetica, a gustarsi la casa, la famiglia, gli hobby. Così a cominciare dagli Stati Uniti e poi anche in Europa milioni di persone si sono licenziate anche da posti prestigiosi cercando attività tranquille che lasciassero più tempo libero. Dunque la riduzione dell’orario non solo per salvare l’occupazione, ma anche per andare in una nuova direzione: lavorare per vivere e non vivere per lavorare.

  5. Valutato 4 su 5

    Stefano Vetusti per www.ungp.it

    Insieme ai tanti vantaggi che porta e porterà con sé, l’intelligenza artificiale (IA) suscita anche legittime preoccupazioni per i rischi che il suo utilizzo potrebbe comportare nei più svariati campi di applicazione. L’Unione europea, non a caso, ha partorito pochi mesi fa il primo regolamento al mondo sull’intelligenza artificiale, certificando il principio che l’uso dell’IA va regolato. Il 2023 è stato l’anno in cui l’intelligenza artificiale ha accelerato ed è salita in cattedra. Anche i profani scoprono piano piano che questo provoca già, e provocherà ancora di più nei prossimi anni, un impatto enorme, nel mondo del lavoro, nella società più in generale. Sarà una rivoluzione e come ogni rivoluzione tecnologica produrrà profondi cambiamenti nel modo di vivere, di produrre, di lavorare. L’esperienza storica insegna che ogni rivoluzione tecnologica distrugge posti di lavoro ma ne crea altri. Perché questa rivoluzione dovrebbe essere diversa dalle precedenti? Perché stavolta, avvertono gli esperti, non saranno messi a rischio soltanto i posti di lavoro a più bassa specializzazione ma a rischiare saranno, anzi sono, anche i lavori intellettuali, avvocati, ingegneri, programmatori, commercialisti, docenti, giornalisti. Qualcuno ha parlato di luddismo dei professionisti. Pino Miglino, giornalista, autore del saggio «Il lavoro in via di estinzione» (Primamedia editore, 144 pag.), rilancia la ricetta della riduzione dell’orario di lavoro per salvarsi da automazione e intelligenza artificiale. Alla presentazione del suo volume ha sottolineato: «Ho scritto un pezzo su una rivista culturale impiegando circa due ore. Poi l’ho fatto scrivere, sullo stesso argomento, dalla piattaforma ChatGpt (uno dei più noti algoritmi ‘generativi’). Ci ha messo pochi minuti e ha prodotto un testo più che accettabile. Il mio probabilmente era migliore ma la prossima volta potrei utilizzare quel testo dell’IA per integrarlo un po’ e ottenere lo stesso risultato finale, ma in un tempo enormemente inferiore. La stessa cosa possono fare i giornalisti nelle redazioni».

    Il volume analizza in forma di cronaca la disoccupazione intesa come malattia strutturale, il ruolo dei sindacati e della politica ma anche gli esperimenti in corso nei principali Paesi occidentali, oltre alla necessità di una rivoluzione culturale che porti a lavorare per vivere e non a vivere per lavorare, evocando lo slogan degli anni Settanta Lavorare meno lavorare tutti. Il testo si sviluppa anche attraverso interviste inedite, rilasciate a suo tempo dai sindacalisti Pierre Carniti, Agostino Megale, Susanna Camusso, dal giuslavorista Piergiovanni Alleva e l’ultima rilasciata dal sociologo Domenico De Masi. «L’occupazione si trova oggi a navigare tra Scilla e Cariddi. Dove Scilla è la scandalosa disuguaglianza che riduce la domanda dei consumatori. E Cariddi – sottolinea Miglino – è l’automazione che, contrariamente al passato, non riesce a creare un numero equivalente di posti rispetto a quelli che distrugge. Due, dunque, sono le strategie su cui agire. Una più convenzionale e cioè la redistribuzione della ricchezza e l’altra quasi ignorata ma decisiva e cioè la redistribuzione dell’orario di lavoro». In un articolo su Agendadigitale.eu si stima, facendo ricorso a dati Istat, che entro il 2025 il mercato italiano dell’IA raggiungerà i 700 milioni di euro, con un aumento medio annuo del 22% e numerose saranno le figure professionali colpite. A livello globale Goldman Sachs stima che nei prossimi dieci anni intelligenza artificiale e automazione cancelleranno circa 300 milioni di posti di lavoro. Amazon, che occupa circa un milione e mezzo di addetti, nel 2030 impiegherà più robot che lavoratori umani. In Cina nel 2021 sono stati installati 270mila robot industriali, oltre la metà di quelli installati nel mondo. Molti esperti concordano sul fatto che la transizione al nuovo mondo sarà molto dolorosa. Alla fine del percorso l’IA porterà sicuramente tanti benefici nella società ma allo stesso tempo c’è il rischio, per alcuni una certezza, che milioni di lavoratori si ritrovino per strada.

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