La Nazione di Siena: Tabarre, grande fantino. Oppure un anarchico?

19 Maggio 2013

La Nazione di Siena: Tabarre, grande fantino. Oppure un anarchico?

Siena (La Nazione di Siena) «La memoria non era acqua piovana…». Con questa frase- chiave ci addentriamo nel romanzo di Gianni Manghetti “Nomi nella cenere” edito da Betti e da primamedia, una sorta di appassionato saliscendi tra passato e presente in una vicenda che guarda al mondo sempre appassionato del Palio, soprattutto quando i sentimenti personali ben si intersecano con la grande storia della Festa senese. C’è un’ombra che ci segue in questo racconto, è quella dell’avo. Francesco Ceppatelli detto Tabarre, fantino che nel XIX secolo fu un vero e  proprio re della piazza, personaggio trionfante e misterioso, dai forti lati oscuri, nascosti come la sua fisionomia quando si aggirava per le strade senesi proprio con il suo lungo mantello a ruota, l’inconfondibile tabarro. Questa è anche una storia toscana, quindi facile ad adoperare toni forti e accesi, senza mezze misure. Ed è una vicenda tra Siena e Volterra, patria natia, che ,per dirla alla Malaparte, è terra selvaggia e nascosta, il cuore del mondo etrusco e quindi con inaspettati risvolti. Il palcoscenico più appassionato è nel rione di Castelvecchio, in attesa della corsa, e proprio in Castelvecchio l’autore muove i suoi passi, i suoi incontri ed è proprio la vittoria che riapre una ferita malcurata. Una sorta di giallo che adopera un percorso di trama costellato di specchi, per guardare meglio al passato ma soprattutto al futuro. Ma non c’è futuro senza riaprire vecchie porte e quando si è discendenti di un grande, e misterioso, fantino, tutto può accadere. Tabarre il grande fantino, ma anche l’anarchico rivoluzionario? Lasciamo la risposta ai lettori che vorranno entrare in  questo gioco che ci prende fin dalla prima pagine, che offre il senso di un bel recupero, in forma di romanzo, di un fantino indimenticabile, che può vantare nel suo palmares un cappotto nel 1890 e altre ben nove vittorie. E ci piace concludere con una frase che guarda al futuro di questa città, e non solo alla Volterra qui raccontata, alla sua celata ricchezza: «Abbiamo bisogno della memoria per far rivivere questa città».

Massimo Biliorsi